In tempo di pandemia da CoVid-19 ci si rende conto di quanto sia importante e al contempo difficile gestire l’ordinario. Soprattutto nel campo dell’attività lavorativa. La centralità della persona non è un semplice slogan da sbandierare, ma un criterio operativo e uno stile di lavoro da riaffermare con forza. Se ne fa interprete la Segreteria Generale, attraverso questo contributo – curato da Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, Ufficio Nazionale per la pastorale della salute e Caritas Italiana – in continuità con una riflessione iniziata la scorsa settimana.
Ci sono molti operatori che stanno mostrando impegno con spirito di sacrificio encomiabile. Il loro servizio rappresenta concretamente il bene per molte famiglie e per l’Italia tutta. In esse troviamo piena espressione del legame profondo tra i principi della solidarietà e della sussidiarietà che fanno parte della Dottrina sociale della Chiesa e che sono tra i capisaldi della Costituzione italiana. Eppure, mai come in questo momento drammatico, il tempo della cura alla persona diviene problematico, sottoposto a stress e può essere persino messo in discussione.
Come comunità cristiana desideriamo esprimere la nostra vicinanza a tutte le persone che operano in quei presidi sanitari, socio-sanitari, sociali, educativi e caritativi che rappresentano un patrimonio inestimabile di cura a chi è più fragile e vulnerabile. Questi servizi integrano il sistema sanitario e quello socio-sanitario nazionale e regionale. Concretamente ci riferiamo alle decine di migliaia di strutture di servizi alla persona gestite dalle realtà del Terzo settore, a tutti gli uomini e donne coinvolti nell’assistenza a domicilio degli anziani, dei disabili, delle persone con problemi di salute mentale e tossicodipendenze, delle donne con figli a carico, dei minori, dei migranti, dei senza fissa dimora e di una serie di nuovi poveri che in questi giorni stanno emergendo.
L’emergenza sanitaria sta avendo un impatto drammatico sull’ntero settore. Accanto al rischio di un tracollo occupazionale già in atto, si avverte la preoccupazione per un comparto che sta pagando la crisi in termini elevati: si stima che, nelle zone più esposte al contagio, circa il 30% degli operatori siano ammalati o in quarantena.
Tocchiamo con mano il valore di un servizio alla persona che non rappresenta solo un lavoro, ma una vocazione per il bene dell’altro, soprattutto quando svolto con fede, disponibilità, competenza, carità, spirito di sacrificio per gli orari cui si è sottoposti.
La Chiesa ringrazia di cuore tutti coloro che si spendono e danno testimonianza di come la parabola del buon samaritano si attualizzi ogni giorno all’interno delle nostre case o delle strutture di assistenza.
Ci sentiamo di incoraggiare tanta dedizione, da vivere con sempre maggiore senso di responsabilità e con le dovute precauzioni perché la cura sia davvero all’integralità della persona. La centralità della persona vale però anche nei confronti di questi lavoratori e lavoratrici, operatori e operatrici, volontari e volontarie.
Oltre a riconoscere la loro attività come essenziale, è necessario creare le condizioni perché possano operare in sicurezza, con dispositivi adeguati di protezione. I servizi fondamentali alle persone più fragili e vulnerabili non sono di serie B rispetto agli altri servizi sanitari.
Tutti avvertiamo la delicatezza e l’importanza della posta in gioco. Il Terzo settore, il mondo della cooperazione o del volontariato e il lavoro a domicilio sono parte insostituibile del welfare. La qualità della cura esprime anche la qualità delle relazioni di un popolo. Un tesoro cui non possiamo rinunciare, proprio nel tempo della cura.
La Segreteria Generale della CEI