È iniziata l’Economia di Francesco. Giovani economisti, imprenditori e promotori di cambiamento si sono incontrati virtualmente ad Assisi in rappresentanza di tutta la società mondiale. Hanno voluto siglare un patto: impegnarsi, con idee e azioni condivise, per dare un’anima all’economia, che sembra averla persa nell’impersonalità dei suoi modelli e nel cinismo delle sue pratiche. Le due encicliche con cui la Dottrina Sociale della Chiesa ha fatto un salto nella contemporaneità, Laudato Si’ e Fratelli tutti, saranno la guida per questa rivoluzione delle mente e dei cuori, non più procrastinabile alla luce della condizione di profonda precarietà materiale ed esistenziale a cui questo sistema economico, soprattutto dopo la crisi del 2008, costringe milioni di uomini e donne, giovani e bambini, vittime di un sacrificio collettivo che non ha fine né ragione.
«Ascoltare il grido dei poveri per cambiare il mondo», è stato il primo messaggio dell’evento trasmesso dal cardinal Turkson: già un manifesto che indica la cura, ma anche un pesante fardello. Se nel povero c’è il volto di Cristo, bisogna allora prendere atto che l’attuale società economica è idolatra nella misura in cui subordina la giustizia sociale al profitto, suo motivo costitutivo. Non basta una lenzuolata di buona volontà e buoni propositi, occorre il coraggio di fare i conti con la storia. Jeffrey Sachs, tra i più influenti economisti al mondo, nel corso della prima giornata ha parlato del criterio che distingue un’economia sana da una malata, individuabile nella capacità di perseguire la felicità delle persone, non l’accumulazione di beni. La provocazione positiva inebria lo spirito di Assisi: un intero sistema economico sembra costretto a riconsiderare i suoi fondamenti, oppure a rimanere nel pantano delle sue contraddizioni. Gli interventi iniziali sono proseguiti affrontando due questioni essenziali, unità di misura della nostra malattia economica: la riconversione da un’industria di guerra a una di pace, la ricerca di un nuovo paradigma per affrontare le disuguaglianze. La sensazione è che non si intorno ai problemi, ma anche che quest’ultimi siano tanto grandi quanto la speranza che anima Papa Francesco, insieme agli uomini e le donne di buona volontà: è stata lanciata una sfida epocale, bisogna ora raccogliere gli strumenti per affrontarla.
La generatività e l’importanza dei beni relazionali hanno occupato il primo momento di confronto della seconda giornata: all’aumento del benessere materiale può corrispondere una diminuzione del benessere spirituale, soprattutto se i rapporti umani si impoveriscono. È necessario, di conseguenza, sganciare il concetto di produttività da quello di felicità: forse la sfida più complicata che abbiamo davanti, paragonabile al tentativo di rimanere in equilibrio su una bicicletta smettendo di pedalare. Fratelli Tutti, ispiratrice del secondo intervento della giornata, è il riferimento autorevole che mancava per scuoterci dal profondo, facendoci riappropriare del volto umano che le leggi di un mercato sregolato e autoreferenziale invece negano. Da questa prospettiva, la responsabilità ecologica, di cui ha parlato il teologo Leonardo Boff, diventa la direzione necessaria per un’azione di cura: del creato, da un lato, dell’uomo, dall’altro, in una relazione simbiotica, dando significato a quell’ecologia integrale che Papa Francesco pone al centro della sua riflessione sulla prassi cristiana nel mondo. L’ospite più atteso, Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace nel 2006, ha parlato proprio del legame tra finanza etica e sostenibilità socioambientale, a condizione di democratizzare l’accesso al credito ed ascoltare la voce del povero.
La terza e ultima giornata ha visto la partecipazione dell’economista Kate Raworth, che ha cercato di spiazzare con un messaggio molto centrato: siamo tutti Paesi in via di sviluppo! Cosa significa, per noi che ci percepiamo tecnologicamente avanzati e consapevoli dominatori della natura? Semplicemente che dobbiamo ricominciare da capo, mettendo in discussione il senso e la direzione del nostro progresso economico. Lo sviluppo sostenibile è forse l’ultima chiamata, l’occasione che ci offre la necessità per cambiare il nostro modo di produrre e consumare.
I fili delle giornate si sono ricongiunti per tessere un collettivo grido di denuncia, ma indicando anche tanti sentieri di speranza: la felicità dell’uomo come fine di un’economia che oggi è malata e stenta ad accettare la cura, una finanza etica come condizione per garantire diritti ai più poveri, la presa d’atto di abitare un solo mondo, l’unico spazio in cui l’essere umano può realizzare la sua natura e vivere in pace con il prossimo. Il saluto finale di Papa Francesco restituisce chiarezza e significato all’evento, sottraendolo a ogni possibile sfilata di slogan o buoni propositi: non bastano i palliativi del terzo settore o la filantropia, ma bisogna intervenire sulle strutture, è necessario osare! Non bastano la tecnica o artifici nominali affinché la ricchezza venga equamente distribuita, ma occorre un modello economico preposto a tale scopo! Dalla crisi, ha concluso Papa Francesco, non si esce mai uguali a prima: è una nuova e fertile occasione, un bivio su cui andiamo a sbattere senza possibilità di tornare indietro. Ci permette di immaginare un futuro profetico, in cui trovi finalmente posto la gioia del Vangelo, oppure, malauguratamente, può indurci a chinare il capo e lasciare che la storia ci passi addosso. La scelta cristiana deve essere netta.
Riccardo Evangelista
Adc Senior Progetto Policoro