[…] Lettera a una professoressa fu consegnata alle stampe nel maggio 1967. Don Lorenzo Milani moriva un mese dopo. Quindi non ha goduto tutto il baccano che il libro ha sollevato.
E di baccano ne ha sollevato e tanto. Con le sue novità, con le sue accuse, coi suoi argomenti stringenti, precisi, documentati, con le sue proposte e il suo linguaggio semplice ha saputo dire a tutti verità che molti intuivano, ma che pochi riuscivano a esprimere.
In questi oltre 50 anni non vi è stato convegno scolastico dove la Lettera non abbia fatto sentire la sua presenza. La stessa contestazione studentesca del 1968 ne portava il segno.
Gli anni successivi all’uscita del libro videro, nel bilancio dello Stato, la spesa per la Pubblica Istruzione crescere notevolmente. La partecipazione dei ragazzi alla frequenza della scuola dell’obbligo è facilitata. I Comuni istituiscono il servizio trasporti per gli alunni. Viene sperimentato un po’ ovunque la scuola a tempo pieno. I Decreti Delegati aprono la scuola alla partecipazione dei genitori. Le bocciature tendono a ridursi notevolmente. Si apre una grande discussione sulle riforme proposte dal libro, soprattutto sul non bocciare nella scuola dell’obbligo.
Talvolta il problema, però, è impostato in modo estraneo allo spirito della Lettera, la quale afferma che la scuola dell’obbligo deve essere formativa e non selettiva, che il ragazzo ha diritto a otto anni di scuola, non come frequenza, ma come compimento di un programma, che quando esistono disuguaglianze culturali tra ragazzi di provenienze sociali diverse, tocca alla scuola sanarle e non scacciare prima del tempo il ragazzo in difficoltà nei campi e nelle fabbriche. Oggi, spesso, a non studiare e lavorare.
Però le disuguaglianze non si sanano, ma restano invariate se si sostituisce la selezione fatta con le bocciature con la selezione fatta di scuola peggiore, non esigente, povera di contenuti che non stimoli l’interesse dei ragazzi, che non li appassioni e non li renda liberi e protagonisti del loro futuro attraverso il sapere, il saper dire e lo scegliere.
In altri termini una scuola parcheggio che espone il ragazzo, che non ha alle spalle una famiglia capace di supplire alle carenze della scuola stessa, a essere ferocemente selezionato al primo impatto con la vita.
Barbiana, ossia l’esperienza viva di Lettera a una professoressa, era un’altra cosa.
Era studio duro dieci ore al giorno per tutti i giorni, compreso la domenica, le feste e l’estate. Era una scuola esigente, dagli interessi vasti, dove si approfondiva tutto a lungo e dove si indicava al ragazzo un obiettivo alto: studiare per uscire insieme dai problemi […].
[Stralcio da Com’è nata Lettera ad una professoressa, prefazione a Lettera a una professoressa. Il senso di un manifesto sulla scuola edizione per i 50 anni, riveduta e corretta (a cura di Michele Gesualdi), 2017, Lef]
Da Lettera a una professoressa
[…] Poi insegnando imparavo tante cose. Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia. Dall’avarizia non ero mica vaccinato. Sotto gli esami avevo voglia di mandare al diavolo i piccoli e studiare per me. Ero un ragazzo come i vostri, ma lassù non lo potevo confessare né agli altri né a me stesso. Mi toccava esser generoso anche quando non ero. A voi vi parrà poco. Ma coi vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada.
Le riforme che proponiamo: Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme:
-Non bocciare
-A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno
-Agli svogliati basta dargli uno scopo