Qualche settimana fa contattai Adele Corradi per chiederle se avesse un pensiero da inviarmi e da leggere in occasione di una riflessione pubblica, una marcia per la pace che stavamo organizzando a Firenze, la Via Pacis.
Adele è stata quella professoressa che nel ’64 arrivò a Barbiana incuriosita dal gran parlare di una strana scuola di montagna, in cui un prete faceva lezione ai figli dei mezzadri, sotto una pergola, leggendo Costituzione e giornale, ascoltando dischi di lingue straniere e costruendosi piscine e tavoli. Senza dare voti e bocciare. «Vi arrivai un po’ perplessa, ma con molta umiltà, io ero una professoressa uguale a quella di cui parla Lettera a una professoressa. Ero convinta che se un ragazzo è da quattro gli si dovesse dare quattro senza dover capire niente di lui e delle sue condizioni sociali. Quando arrivai a Barbiana mi misi in fondo alla stanza e rimasi ad ascoltare tutto il giorno. Alla fine don Lorenzo mi disse che il giorno dopo sarei potuta tornare perché non ero andata lì a fare l’insegnante ma ad ascoltare i ragazzi».
Da allora Adele ogni volta che aveva un minuto libero saliva a Barbiana per dare una mano alla scuola. Lassù insegnò anche latino a Michele, Enrico e Luciano che volevano iscriversi alle Magistrali. Si fece addirittura trasferire dal Provveditore alle medie di Borgo San Lorenzo, in Mugello, per essere più vicina a Barbiana. «Da subito mi accorsi che era la scuola che cercavo» racconta, «in cui essere bravi era un compito da mettere a disposizione degli altri, non un vanto. E siccome non esisteva il primo della classe non esisteva la competitività. La correzione di un testo, la riflessione scaturita dalla lettura di un articolo o la risoluzione di un problema erano sempre un processo collettivo». Adele, pensiero lucidissimo, mente acuta, spirito libero e critico, oggi come allora, arrivò a Barbiana con le decolté e se ne andò con gli scarponi di montagna in dosso. Pieni di mota e vita e con tre ragazzini della famiglia Alpi, la più povera e disgraziata su quella montagna, a vivere in casa con lei e da accudire. La scuola di don Milani era una scuola che educava alla solidarietà, anche discutendo e confrontandosi, che proponeva di cercare il passo migliore per uscire insieme dai problemi. Puntando sempre in alto, cioè insegnando ai ragazzi e alle ragazze come si reagisce a un’ingiustizia, specie se questa colpisce i più, i deboli, gli emarginati, chi è senza voce e senza strumenti. Schierandosi, indignando e reagendo, anche a costo di pagare in prima persona. Ma solo così il mondo va avanti e le società progrediscono. «Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: I Care. Me ne importa mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista me ne frego», scrive don Milani nella risposta ai cappellani militari.
Adele, allora, che cosa mi dici rispetto a questa guerra spaventosa che sta trucidando civili e annientando città ai confini dell’Europa? «Tutti parlano di pace, Sandra. Ma nessuno educa alla pace. Non l’ho detto io ma una maestra straordinaria, Maria Montessori. È la cosa migliore che ho riletto in questi momenti bui e l’unico investimento che ogni Paese, società, città dovrebbe fare. Educare, ogni giorno alla pace».
La frase della Montessori prosegue: «A questo mondo si educa per la competizione e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace». Non ci sono altre scelte se abbiamo a cuore questo mondo, il nostro presente e futuro. Ascoltare e praticare l’esempio di un maestro di montagna e di una maestra che abbassò i tavoli ad altezza bambino e bambina per educare, insegnare, portarsi sulle spalle la pace. In ogni pezzo di quotidiano, in ogni scelta, in ogni sguardo sul mondo. Educare e farsi educare alla pace. Anche quando tornerà a splendere la pace. Perché tornerà a splendere.