Quando mi chiedono che cosa pensi del sostantivo merito aggiunto al Ministero dell’Istruzione, rispondo con storie che conosco da vicino.
Nel 1958 don Lorenzo, rispondendo a un amico fiorentino che lo accusava di “fare troppa scuola e severa a Barbiana”, rispose:
«Non posso consultare i manuali di pedagogia per regolare l’orario e le vacanze di Giancarlo (13 anni) quando ho visto alle 5 di mattina la sua sorellina Luciana (9 anni) a sconcimar la stalla da sola con una carriola più grande di lei, mentre Luciano (gemello di lei) a quell’ora era già nel campo a segare il grano da circa un’ora. La sera alle 8 ½ quando Giancarlo tutto pulito e chiassoso torna da scuola, Luciano torna dal campo così stracco che non ha la voglia neanche di sorridere. Dunque la domenica si studia».
Ogni volta che leggo queste righe percepisco la fatica, l’umiliazione e il divario che certe bambine e bambini hanno dovuto sopportare e colmare. Con le mani stanche di lavoro e il fango sotto i piedi. Per andare a scuola, dove le distanze si dovrebbero invece colmare. Sono passati poco più di 60 anni da quella riflessione, dura e vera, di don Lorenzo, ma certi dislivelli ancora esistono. Sotto altre forme e situazioni.
Alcuni dati forniti da Eurostat dicono che nel 2021 il 12,7% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola, fermandosi alla licenza media. È un dato preoccupante, considerando la media europea del 9,7% e il fatto che l’Italia si trovi agli ultimi posti di questa indagine. Altri approfondimenti fatti circolare dal MIUR attestano che ad abbandonare scuola dell’obbligo e superiore sono soprattutto i ragazzi, gli alunni stranieri, quelli che vivono nel Mezzogiorno e coloro che hanno un ritardo scolastico.
La dispersione scolastica è la cartina tornasole per capire quanto equa sia una società e quanto, sostanzialmente, sia applicato l’art. 3 della Costituzione. Si, perché i suddetti dati ci dicono che a lasciare la scuola o a frequentarla in maniera irregolare e senza continuità formativa sono soprattutto i giovani provenienti da situazioni socio-economiche svantaggiate. Tradotto: la povertà della famiglia o della zona di origine, le differenze culturali o di genere, ma anche la scarsa qualità dell’istruzione ricevuta sono cause che portano a lasciare la scuola. E a perdersi nelle nebbie della società, nei casi più gravi quelle abitate da microcriminalità e illegalità.
Allora, parlare di merito vuol dire parlare, anche e soprattutto di uguaglianza sociale. Per don Milani era chiarissimo: la scuola è quel luogo in cui si diventa uguali, attraverso la potenza della conoscenza e in cui si accorcia il divario di partenza. La scuola è quel distretto di libertà e democrazia dove i ragazzi e le ragazze rafforzano il proprio umano, si costruiscono nella loro pienezza e dignità, iniziano a pensare in maniera autonoma e critica. La scuola è il luogo in cui si capisce chi si è. Per questo tutte e tutti, ciascuno e ciascuna si meritano e si devono meritare la scuola. Più scuola, non meno. Una scuola dai contenuti alti, pubblica e gratuita che forma cittadini e cittadine.
Per Costituzione, non per privilegio.
Una scuola che non seleziona certificando il vantaggio e i mezzi della famiglia di provenienza. Altrimenti sarebbe un ospedale dove curiamo i sani e respingiamo i malati.